ERO UN CANE FELICE
L’abbandono visto con gli occhi del cane
a cura di Alice Castorina
Questo articolo non nasce con l’intento di analizzare le motivazioni che spingono una persona a rinunciare al proprio cane. A ciò dedicheremo un altro articolo che vorrà mirare ad aiutare chi vuole un cane a fare una scelta davvero giusta.
Questo articolo nasce per vedere con gli occhi del cane l’allontanamento dalla sua famiglia, nella speranza che si possa scegliere il meglio per lui e, magari, ritornare sui propri passi e decidere di dargli ancora una possibilità.
Spesso ci chiamano persone che pensano di far del bene il cane a metterlo in una bella struttura, canile o pensione che sia, dove ci sono persone che portano a passeggio i cani e volontari che cercano poi una casa al quadrupede. Tuttavia, queste stesse persone non hanno la minima idea di come funzioni la realtà “canile”.
Sapete quanti rimangono allibiti a sapere che il loro cane, in inverno, in canile, passa 90% della giornata fuori dalla cuccia, a guardare fuori dal box, col gelo di gennaio? Oppure che si stupiscono se il cane ha la possibilità di stare con le persone circa 15 minuti al giorno in totale. Altri non credono possibile che i volontari difficilmente vedono i cani dormire, mentre a casa il cane dorme praticamente sempre. O ancora, è difficile credere a cani che smettono di mangiare, che abbaiano in continuazione, che si ammalano per lo stress.
La nostra delusione e la nostra rabbia derivano da questo: noi siamo gli occhi che vedono ciò che le famiglie non vedono.
E per un occhio “allenato”, nonostante i grandi sforzi che facciamo per rendere migliore la permanenza nella nostra struttura, è evidente quanto nulla può essere paragonabile alla gioia di una vita fuori da un box.
Ecco cosa succede al cane quando si aprono le porte del canile: viene accompagnato dentro dal suo migliore amico. Questo gli presenta, in fretta e furia, una persona e, se il cane è equilibrato, il cane si affiderà a lui pensando “il mio amico mi sta presentando un amico. Mi posso fidare”.
Poi il nuovo amico lo porta via, gli fa qualche coccola, lo fa giocare un pochino o lo accompagna a fare una breve passeggiata. Sul momento magari il cane neanche si accorge che è stato abbandonato. Non sa che presto le sue certezze vacilleranno.
E se invece si accorge e abbaia e piange e tira verso i proprietari, sta dicendo chiaramente che in quel momento lui sta male. Non sa gestire la situazione, ha paura, vorrebbe tornare vicino al suo porto sicuro, eppure non può.
Ora: fosse un cane di proprietà che per la prima volta rimane in pensione, la reazione magari sarebbe la stessa, ma la si affronta sotto un’ottica diversa. Nelle pensioni per cani (quelle serie), si effettua l’inserimento graduale e il cane, anche se rimane sgomento nel momento dell’allontanamento del proprietario, viene seguito e sorretto dagli operatori della pensione e dalla sua stessa famiglia, tornando poi alla sua routine e imparando ad apprezzare la pensione.
Ma un cane abbandonato in canile? No. Lui non ha diritto di essere inserito gradualmente. Lui deve cavarsela da solo.
In 20 anni di studi sul comportamento del cane di canile, fior fior di ricercatori, medici veterinari, etologi, fisiologi, chi per un verso, chi per l’altro, sono giunti alle medesime conclusioni: entrare in canile, vivere in canile, è uno stress e può essere ben sopportato (se aiutati) come può diventare una situazione devastante per il povero animale.
In canile ci sono diversi agenti stressanti che devono essere presi in considerazione sia da chi decide di lasciare il proprio cane in canile, sia da chi poi ha il compito di rendere il “soggiorno” meno traumatico possibile. Gli stressors più importanti in canile sono:
- Il cambiamento dell’ambiente;
- La separazione da proprietari;
- Il cambiamento del tipo di relazione con l’uomo;
- Il cambiamento della dieta;
- Le restrizioni spaziali;
- Il sovraffollamento;
- La perdita della routine;
- L’imprevedibilità dell’ambiente;
I primi 3 giorni di permanenza in canile sono caratterizzati da stress intenso, denominato “stress da cambiamento”. Il cane non ha modo di prepararsi in anticipo alla nuova situazione e le sue certezze in questo periodo vacillano parecchio. Che fosse abituato a vivere in casa o in giardino o in un serraglio, il canile è un ambiente nuovo, di solito privo di stimoli già conosciuti e ricco di stimoli nuovi, molti dei quali molto fastidiosi (estranei che ti passano davanti, tanto rumore ad esempio).
Si trova in una situazione che non sa controllare e ha bisogno di tempo per capire cosa è successo e, soprattutto, cosa fare per abituarsi al cambiamento.
In questo periodo assistiamo a molti dei comportamenti tipicamente correlati a scarso benessere: abbaiare tanto, essere sempre in movimento, grattare la porta, non mangiare, riposare molto poco. Ansia e paura sono i protagonisti del primo periodo in canile per tutti i cani.
In circa una o due settimane cercherà di abituarsi, rifletterà sulla situazione, sarà più tranquillo e riuscirà a riposare meglio.
Lo stress da cambiamento non è causato dal canile in sé, quanto alla modificazione delle condizioni nelle quali era abituato l’animale. Si ha anche se si trova uno stallo casalingo al cane e anche quando viene adottato!
Il problema “canile” sopraggiunge in seguito, col protrarsi di condizioni nelle quali il cane si trova un po’ sacrificato.
Ma andiamo con ordine. Dicevamo: il cane cambia ambiente e viene allontanato dai proprietari. Ecco il secondo, enorme problema. Il cane d’istinto aveva imparato a far parte di una famiglia, aveva studiato i suoi familiari, capendo quali erano le regole, la routine, gli spazi, le amicizie.
Si era creato un legame. Anche nelle famiglie che degnano di pochissima attenzione i propri cani si crea un legame. Ma cosa succede se quel legame di colpo viene tagliato? Siamo sicuri che il cane sappia tagliare i ponti così come riusciamo a tagliarli noi?
Rimaniamo un attimo in tema “relazione con l’uomo”. Pensiamo al vero cane, quello voluto dai nostri antenati. Guardiamolo per ciò che è davvero: un animale addomesticato, selezionato, voluto proprio perché entri in simbiosi con l’uomo. Ma in canile che succede? Diventa una creatura che deve stare sola, relazionandosi solo in minima parte con le persone.
Sapevate che l’impossibilità di stare tutti i giorni con le persone è il fattore più stressante di tutti per il cane? Alcuni cani si riducono addirittura all’apatia se questo loro bisogno non viene soddisfatto!
Senza poi contare che il cane è un abitudinario, nelle attività come nella dieta. Ecco, altro stressor: il cambio di alimentazione. Non ci vuole molto a immaginare la gioia che può provare un cane a passare da un alimento che gli piace a uno che non ha mai visto prima. Magari prima mangiava durante il giorno, ora deve mangiare in 10 minuti. Magari prima mangiava alla sera e ora solo al mattino. Insomma, il cambiamento c’è praticamente sempre.
Altra cosa: perché mai gli dovrebbe piacere stare per la maggior parte del tempo in un box, circondato da cani abbaioni e casinisti, in un posto dove ogni secondo ce n’è una? Chi suona il campanello, chi gli passa davanti, un sacco di estranei che si danno il cambio a portarlo in passeggiata, una volta col collare, una volta con la pettorina, una volta libero, una volta il bocconcino, l’altra solo la carezza, questo urla, quell’altro piange, quell’altro sbaglia e lo caccia in un box diverso!
Lui necessita la routine, ma siamo certi che il canile scelto sia gestito rispettando questa necessità? Siamo così convinti che il canile sia un ambiente prevedibile? No, perché, al cane non piace avere imprevisti. E vi assicuro che anche se in Rescue Bau cerchiamo di essere più prevedibili possibile, ogni giorno ce n’è sempre una nuova!
Magari non gli piace neanche la cuccia dura quando prima dormiva sul divano, o il freddo polare tipico dell’inverno.
E se è un cane anziano ancora peggio: si sa, i nonni ci mettono di più a imparare! Altro che 3 giorni! Lo stress da cambiamento dura tranquillamente più di una settimana. E non è detto che poi il cane si abitui.
Insomma, ciò che spesso è una liberazione per la famiglia (tranne quei pochi casi in cui separarsi dal proprio amico è una sofferenza atroce, ma purtroppo indispensabile), è invece un intenso lavoro mentale e fisico per il cane che è stato portato in canile.
Concludo con la chicca alla quale forse quasi nessuno pensa: i cani in canile non hanno tutti le stesse probabilità di trovar velocemente una casa. Le richieste più comuni sono per cani giovani, di taglia medio piccola, equilibrati, a pelo corto, possibilmente non nero.
Perché dico questo? Perché se proprio il cane deve finire in canile, sempre i famosi 20 anni di studio insegnano che dovrebbe rimanerci per MASSIMO DUE MESI, altrimenti inizia a non sentirsi più tanto cane.
Si inizia ad avere una destrutturazione del comportamento normale del cane, il che significa “non ce la faccio più!” e comporta un ulteriore ritardo nell’adozione. Il cane diventa timido, distruttivo, iperattivo. Si sistema un “vizietto” e ne compare un altro. Arriva la famiglia interessata ma poi lo vede e passa oltre. E così un cane che sicuramente non meritava una vita in canile, inizia ad essere un ospite fisso, triste e stressato.
Tutto sto papiro per dire che la scelta di strappare il cane dalla sua famiglia deve essere proprio l’ultima, ma proprio l’ultimissima spiaggia e deve essere una scelta pienamente consapevole.
Perché un cane portato in canile non è un cane felice. È un cane che era felice.
A.C.